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La triste storia di Saamiya, dalle Olimpiadi di Pechino alla morte in mare su una carretta di profughi

Ultimo Aggiornamento: 29/08/2012 23:54
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20/08/2012 13:59

Saamiya, da Olimpiadi a morte su carretta mare

Giovane atleta somala, che ha partecipato ai Giochi di Pechino 2008, sarebbe morta in un viaggio dalla Libia all'Italia


Alle Olimpiadi di Pechino nel 2008 era arrivata ultima nella gara dei 200 metri: nessuno se n'era accorto, né le telecamere avevano indugiato su quella ragazza esile che arrivava al traguardo molti secondi dopo le altre. Ma per lei era già un successo. A Londra 2012 però non ci è mai arrivata: il suo sogno è naufragato nel Mediterraneo, dove è morta a bordo di una carretta del mare partita dalla Libia mentre tentava di raggiungere l'Italia.

A raccontare la triste storia di Saamiya Yusuf Omar è la scrittrice italo-somala Igiaba Scego sul blog Pubblico, che a sua volta cita Abdi Bile, una gloria dell'atletica somala, medaglia d'oro - l'unica nella storia del martoriato Paese africano - nei 1500 metri ai mondiali di Roma del 1987.

"Sapete che fine ha fatto Saamiya Yusuf Omar?", chiede Abdi Bile a una "platea riunita per ascoltare i membri del comitato olimpico nazionale". Nessuno risponde. L'ex atleta si commuove e prosegue: "La ragazza... Saamiya è morta... morta per raggiungere l'Occidente. Aveva preso una caretta del mare che dalla Libia l'avrebbe dovuta portare in Italia. Non ce l'ha fatta. Era un'atleta bravissima. Una splendida ragazza". Non è chiaro quando la ragazza sia morta.

Sono pochissime, anche in rete, le tracce di Saamiya, tra cui il video su youtube della sua performance cinese, e un servizio di al Jazeera che nel maggio 2011 raccontava il suo viaggio in Etiopia e la sua battaglia per trovare un allenatore in grado di condurla a Londra. "Siamo felici per Mo, è il nostro orgoglio", ha poi aggiunto Abdi Bile riferendosi a Mo Farah, il giovane atleta nato in Somalia ma diventato britannico che ai Giochi di Londra ha dominato nei 5000 e nei 10.000. "Ma - ha concluso - non dimentichiamo Saamiya".

Fonte: ANSA
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L'ultima corsa dell'atleta somala.
Il medico: «Samia morta incinta»



NAPOLI - Il dottor Giuseppe Saviano avrebbe scoperto molte settimane dopo il nome e la storia di quel volto. Quel viso finalmente rilassato, quasi sorridente, come chi, dopo tanto patire, riacquista la tranquillità solo quando la vita è ormai sfuggita di mano. Distesa in terra nel pozzetto dell’unità della Guardia costiera. In posizione fetale come se dormisse placida. Come una bambina, come una giovane Madonna mostra l’ultima sua foto.

Paradossi che nemmeno la medicina e la scienza sono riusciti mai a spiegare. Sono gli ultimi attimi, è l’alba del 17 marzo, di Samia Yusuf Omar che ha compiuto 21 anni due giorni prima. Li festeggiati in mezzo al Mediterraneo stipata dentro un gommone di nemmeno nove metri assieme a una sessantina di persone. È partita dalle coste della Libia il 13 marzo e arriva, ormai in coma depassé, a 87 miglia a sud di Lampedusa.

>>>GUARDA IL VIDEO

Pochi minuti prima dei soccorsi, purtroppo, che coordina Saviano, ufficiale medico del sovrano ordine di Malta, che ha passato anni tra missioni all’estero e pronto soccorsi di frontiera nel napoletano. Ne ha viste di cose e di morti ma rimane colpito da quel viso quasi sorridente. Morirà da lì a poco Samia assieme ad altri 4 giovani compagni di viaggio, tutti sepolti il giorno dopo, senza nome, nel cimitero di Lampedusa mentre in paese si festeggia il precetto pasquale.

Samia, la più grande di sei figli di una famiglia di Mogadiscio cresciuta in povertà, è la giovane maratoneta che riesce a qualificarsi nella gara dei 200 metri alle Olimpiadi di Pechino. Arriva ultima ma corona un sogno. Poi nulla sino al 19 agosto scorso quando a Mogadiscio Abdi Bile, suo connazionale e medaglia d’oro nell’atletica, racconta che Samia è morta, agli inizi di aprile, su un barcone diretto verso l’Italia. Voleva venirsi ad allenare in Europa, come dirà una sua amica? No, era incinta di almeno 4 mesi e in gravidanza è partita almeno il 3 marzo come racconterà chi con lei ha viaggiato. Più che le prossime prove olimpiche sognava per il suo bambino un futuro migliore. Non una vita come la sua che il padre non lo conoscerà mai perché ucciso da un colpo di mortaio durante la guerra civile e la madre è costretta a fare i lavori più umili. Non ce l’ha fatta a cambiare però la rotta della sua vita e nemmeno quella di suo figlio.
E si ritorna al 17 marzo quando Saviano viene svegliato nel cuore della notte e con la Guardia costiera raggiunge il barcone nelle acque internazionali dopo oltre 5 ore di navigazione.

Chi c’era a bordo?
«Tutti somali ed eritrei. Due donne incinte, tre ragazzini e 5 ventenni che muoiono nel modo più atroce: affogati e schiacciati dai compagni di viaggio nel ventre ormai molle di quel gommone sgonfio». Samia muore così e Saviano, che le Olimpiadi di Pechino manco le ha viste, rimane colpito e impressionato da quel volto.

Perché dottore?
«Quello sguardo, quella posizione fetale mi ha toccato, colpito. In 30 anni di lavoro di frontiera di morti ne ho visti. Ma quella morte, quel viso, non riuscivo a levarmeli dalla testa. Poi solo due settimane fa, leggendo il giornale ho capito chi era».

Come l’ha trovata?
«È stata la prima persona che abbiamo soccorso. Già rantolava e non aveva più riflessi pupillari: stava morendo. L’abbiamo messa in sicurezza ma non c’è stato nulla da fare. Alcuni avevano gravi ustioni caustiche perché si erano rovesciate addosso le taniche di benzina per il viaggio e il sole aveva fatto il resto. Lei invece era morta per annegamento probabilmente, schiacciata nel fondo della carretta. Ed era incinta di almeno 4 mesi. Per settimane non ho fatto che pensarci....».

Ha provato a chiedere notizie ai suoi compagni di viaggio? Magari a bordo c’era un parente, un amico.
«Ci ho provato, nessuno la conosceva. E io per settimane ho pensato a questa donna senza nome, ai suoi compagni di viaggio sepolti a Lampedusa. Ora però quel viso ha un nome».

Fonte: IlMattino
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